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Energia, passione e tanto groove per un gigante della musica italiana.
Roberto Drovandi, bassista storico degli Stadio, è uscito in questi giorni, con Denso , il suo primo singolo da solista: è l'occasione giusta per farci una chiacchierata e scoprire come dietro la vita di un musicista di livello indiscusso, vi siano aspetti legati alla passione, all’amore per la musica e, soprattutto, al desiderio di essere d’aiuto agli altri. Roberto si è dimostrato un gigante non solo per la sua capacità di proporsi con uno strumento sanguigno come il basso, ma, soprattutto, per la sua naturalezza nell'affrontare tanti aspetti della vita.
Dopo tanti anni di esperienza, come trovi oggi il mondo della musica?
Per certi versi la possibilità di creare un prodotto musicale in casa, di livello notevole, facilita le cose, ma proprio questa grande diffusione di mezzi tecnologici alla portata di tutti crea una sorta di dispersione. Forse sta venendo a mancare quella cultura musicale che ai miei tempi veniva dai vinili e dalle cassette. Io ricordo, per esempio, che aspettavo di poter curiosare tra i dischi rock di mio fratello per poter vedere cosa ascoltava. Ricordo ancora le ore a cercare di carpire i vari passaggi, ascoltando e riascoltando, riavvolgendo chilometri di nastro per imparare un “a solo” o un giro di basso. Oggi tra internet ed i super computer che ognuno può avere in casa un po’ tutto questo si è perso e di conseguenza, proprio il culto dell’ascolto è venuto meno.
Hai cominciato giovanissimo a calcare i palchi, come vivi oggi l’esperienza live?
Beh, oggi mi sento libero… nel senso che quando suono non penso, le mani si muovono da sole senza vincoli e quando non pensi ecco che inizi a suonare davvero esprimendo tutto ciò che è il tuo strumento.
Come nasce l’idea di un prodotto tutto tuo a questo punto del tuo percorso professionale?
Tutti noi degli Stadio, veniamo da esperienze di “session men”, abbiamo suonato in diverse situazioni, pur essendo una realtà unica che sta assieme da tanto tempo.
Proprio per questo pregresso, direi, ho sentito l’esigenza di dare sfogo alla mia creatività, magari incentrando il mio lavoro proprio su ciò che rappresenta lo strumento che suono e sono convinto che un’esperienza del genere possa arricchire lo stesso sound degli Stadio proprio per una crescita personale che viene dall’esprimersi anche per se stessi.
Denso è il singolo che fa da apripista a un album: sarà soprattutto funk o spazierai?
Direi che il funk è la spina dorsale di tutto il disco; ci sarà anche qualche pezzo cantato e, perché no, una spruzzatina di progressive! È un disco concepito alla vecchia maniera, una decina di tracce non di più.
Darai alla luce una nuova etichetta indipendente, cosa ti ha spinto a buttarti in questa avventura?
Tutto nasce dall'incontro con un vecchio amico, Paolo Caruso (percussionista) che suonava con me ai tempi di Luca Carboni, e parlando con lui è emersa una criticità reale per chi non è nel giro grosso delle major: far conoscere la propria arte, i propri dischi. Mi è scattata la molla e mi sono chiesto perché non mettere in piedi un qualcosa che cavalchi il cyberspazio, la rete, per diffondere i dischi di chi merita questo genere di attenzione? Così nasce la Twins104 Records che ha l’obiettivo di dare visibilità proprio a quelle situazioni che non riescono a emergere, ma che meriterebbero attenzione. Tutto questo cercando di sfruttare le potenzialità della rete che può diventare un mezzo davvero potente per tentare di uscire dal guscio.
Sono più di 20 anni che sei il bassista degli Stadio, cosa significa oggi esserlo ancora?
Oggi posso dire che sento ancora la voglia di salire sul palco, di trasmettere, assieme agli altri, quella che è la nostra vena artistica anche se, inutile negarlo, nel tempo ci sono stati momenti pesanti, di stanchezza, sia per vicissitudini personali che artistiche. Ho conosciuto un periodo di vera stanchezza artistica poi, come spesso accade nella vita, capitano quegli episodi che fanno scattare la molla ed eccoci ancora qui con più energia di prima.
Vuoi raccontarci qualcuno di questi episodi?
Beh, l’aver suonato con Vinnie Colaiuta, in Accadueo di Eugenio Finardi e potersi confrontare con un mostro sacro del genere mi ha parecchio stimolato e il sentirsi apprezzato, artisticamente, da un batterista del genere è stata, diciamo pure, tanta roba ! per il mio percorso professionale è stata una chiave di volta della quale ancora oggi, sento la carica.
Cosa consiglieresti a un giovane? Quali sono le strade da percorrere per fare della propria musica una professione?
Dire che non è banale oggi, forse, non mi rende originale, ma le cose stanno così. Sicuramente non bisogna puntare al guadagno, almeno non all’inizio, è fondamentale guardarsi dentro, metterci tutta la passione che si ha e, successivamente, ecco che può diventare un lavoro, ma è un lavoro che non può esistere senza il fuoco della passione. Bisogna dare tutto, impegnarsi a fondo e dopo tutto questo ecco che può arrivare la professione.
Cosa pensi delle diatribe sulla questione copyright?
Secondo me potrebbe anche andare a sparire, ma non credo sia una cosa sensata. Chi scrive musica per lavoro deve anche poterci vivere, questo è ovvio, ma ciò non significa che le cose come sono concepite oggi siano quelle giuste. Il mondo della musica passa attraverso il mondo della rete, oggi, ma i più non riescono a comprenderne le potenzialità e, ancor di più, chi dovrebbe muovere i fili di questo universo non riesce a comprenderne le evoluzioni. Dall’altra parte c’è anche la tendenza, di massa, a cercare gli scaricamenti per vie traverse, diciamo così, e questo non è certo il modo per far sopravvivere la musica di qualità. Oggi i numeri si fanno con i live e i dischi diventano più una promozione per un tour piuttosto che altro.