Il caleidoscopio di colori che arrivano dalla televisione disegnano ombre strane sulle pareti del salotto in penombra, la solita ridda di notizie pessime, superficiali mette la parola fine ad un'altra giornata complicata, ma, tanto si sà, prima o poi finirà questo stillicidio perchè... non c'è più nulla da prendere...
Un esordio da solista, quello di Michele Scerra, che, in maniera anche irridente, mette in luce tutto quello che è il mondo di oggi con la certezza che, ormai, le cose dovranno cambiare per forza...
Concetti molto aspri in un concept album davvero suonato in tutte le sue parti!
La linea ritmica del pezzo è caratterizzata da un drumming raffinatissimo e pulsante che viene sostenuto da un basso il quale, quasi in punta di piedi, volteggia con grandissima raffinatezza colorando tutto l'assieme.
Spettacolare il lavoro degli archi che rappresenta, assolutamente, il valore aggiunto della canzone garantendo, al contempo, tappeti ritmici quasi roccheggianti per poi sfociare in fraseggi assolutamente incredibili...
La linea di cantato si va ad incastonare perfettamente in quello che è il messaggio che questo progetto musicale vuole rappresentare.
Da sorbire in cuffia e ripetutamente per cogliere tutto quello che è il succo del pezzo!
La storia
“Torneranno i poeti” è un disco che crea atmosfere folk dalle tinte scure, è una raccolta di nove canzoni con un solo auspicio, quello di dare spazio al pensiero, alla poesia, alla lentezza: “nove tracce che raccontano di storie di passione (“Non nominare la fine”, “Alina e Vincenzo”, “Annegando”), quella passione che muove gli uomini nelle loro azioni. Dell'orgoglio di chi crede in qualcosa che non sia soltanto la speranza di una concessione che arrivi dall'alto (“Più niente da prendere”, “Omega ed Alpha”). Della ricerca della bellezza (“Come glicine”, “Il Circo Gelsomino”) Della voglia di staccarsi dalla logica dei numeri, che nel mondo di oggi hanno sempre ragione, ma non significa che siano la strada giusta – racconta Michele Scerra -.
Un mondo diverso è pensabile soltanto attraverso la fine dell'egemonia dell'uomo sull'uomo (“Il volo del brigante”), questo è poco probabile, ma resta possibile. Un disco amaro, sfacciatamente politico, che trova pace soltanto nell'amore (“1,1618 song”), che resta una parola abusata, ma talmente potente da essere utilizzata soltanto una volta in tutto il disco”.
Un album e un suono quasi autobiografico, figlio di un trasferimento, quello dell'autore, da nord a sud che, nel lavoro, si fa sentire. Un disco folk dove il suono, i ritmi e le storie del sud, piano piano si fanno spazio, ma “l'incantesimo metropolitano” è ancora presente.